COMITATO FRANCO ITALIANO DEL NOTARIATO
LIGURE E PROVENZALE
XXIV CONGRESSO
PATRIMONIO INTERNAZIONALE: COSTITUZIONE,
GESTIONE E TRASMISSIONE
ROSARIA BONO, NOTAIO IN
GENOVA
TRASMISSIONE EREDITARIA
E STRUMENTI ALTERNATIVI AL TESTAMENTO
Il problema della trasmissione ereditaria
di patrimoni internazionali è diventato ormai di interesse generale
per l'intera classe notarile.
Il diffondersi dell'immigrazione e specialmente
l'integrazione degli immigrati che incominciano a diventare detentori di
ricchezza, ma ancor più l'estendersi del fenomeno dei matrimoni
"misti" portano ogni giorno nei nostri studi problemi successori internazionali,
che non riguardano più solo i colleghi d'elite, consulenti delle
grandi famiglie, ma anche giovani notai come me che muovono i primi passi
professionali in una grande città del mondo industrializzato.
Il giurista italiano che si occupi di
problemi di diritto internazionale privato deve prendere le mosse della
nuova legge del 1995, che ha profondamente innovato non solo le regole
operative pratiche, ma con l'introduzione della professio iuris per certi
versi ha mutato proprio la posizione dello Stato Italiano di fronte al
diritto internazionale.
L'intento del legislatore è stato
duplice: da un lato fornire soluzioni ai diversi problemi interpretativi
che si erano posti nell'applicazione del sistema previgente; dall'altro
recepire nel diritto internazionale privato italiano i più recenti
sviluppi in materia a livello internazionale.
L'articolo 46 della Legge 31 maggio 1995
numero 218 recita: "La successione per causa di morte è regolata
dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta,
al momento della morte". Come si vede la nuova legge ha accolto il principio,
già enunciato dall'articolo 23 delle preleggi, dell'unità
della successione sotto la legge dello Stato di cui il de cuius era cittadino
al momento della morte.
Questo principio di derivazione romanistica
però ci pone frequentemente in contrasto con le leggi di quegli
Stati, come la Francia o i Paesi di common law, che sposano il principio
della pluralità delle successioni, basato, com'è noto, sulla
separazione tra proprietà dei beni mobili e proprietà dei
beni immobili: ai beni mobili si applica la legge dell'ultimo domicilio
o residenza del de cuius, ai beni immobili la lex rei sitae.
Il sistema del morcellement non è
privo di inconvenienti.
Se, ad esempio, un soggetto la cui successione
si apre in Francia lascia beni mobili ed immobili in diversi Stati,
si avrà una pluralità di quote di riserva e di disponibile
rispetto a ciascun bene, o, addirittura, se lascia beni in Gran Bretagna,
Stato che non conosce l'Istituto della riserva, si avrà la conseguenza
che l'erede del bene sito in Inghilterra potrà chiedere la sua quota
di riserva sul bene sito in Francia, mentre l'erede del bene francese non
potrà chiedere la riserva sul bene sito in Inghilterra.
D'altra parte anche il nostro sistema
dell'unità della successione può scontrarsi con il sistema
anglosassone: ad esempio per l'ordinamento italiano il bene del de cuius
italiano, anche se situato in Inghilterra, è soggetto alla riserva,
ma tale istituto non viene riconosciuto dall'ordinamento inglese, che si
ritiene pure competente per il bene in questione.
Come nella vecchia legge, anche nella
legge attuale il criterio di collegamento principale è dato dalla
nazionalità: la legge regolatrice della successione è la
legge nazionale del de cuius al momento della morte. L'applicazione di
tale criterio è stata però notevolmente limitata dalle regole
introdotte dagli articoli 13, 18 e 19 della nuova legge, nonchè
dalla possibilità della "professio iuris".
L'articolo 13 stabilisce che ogni volta
che si richiama la legge di un altro Stato, si deve tener conto dell'eventuale
rinvio che questa faccia alla legge di un terzo Stato. Il rinvio è
però escluso quando la legge straniera non accetti il rinvio ed
indichi un altro Stato, per evitare rinvii a catena.
L'articolo 18 risolve i problemi posti
dal rinvio ad un ordinamento che comprenda più sistemi normativi,
come ad esempio gli Stati Uniti, applicando il criterio del collegamento
più stretto con il caso di specie.
L'articolo 19 si occupa invece dei casi
di apolidi, rifugiati o soggetti con più cittadinanze: per i primi
due casi si fa riferimento al luogo di domicilio o di residenza; nel caso
di doppia cittadinanza, se nessuna è italiana (che prevale), si
fa riferimento al criterio del collegamento più stretto.
Un'ulteriore eccezione al principio della
nazionalità è dato, come si è detto, dalla possibilità
della "professio iuris", introdotta dalla nuova legge in analogia a quanto
previsto in materia di contratti.
L'articolo 46 recita: Il soggetto della
cui eredità si tratta può sottoporre, con dichiarazione espressa
in forma testamentaria l'intera successione alla legge dello Stato in cui
risiede".
Requisiti della professio iuris sono i
seguenti:
1) la scelta deve essere espressa in forma
testamentaria;
2) la scelta deve essere limitata alla
legge dello Stato in cui il testatore risiede;
3) la residenza deve essere effettiva
e abituale ed ancora la stessa al momento della morte;
4) la scelta deve riferirsi all'intera
successione;
5) non può pregiudicare i diritti
dei legittimari residenti in Italia, se il testatore è italiano.
La professio può essere contenuta
nel testamento o in una dichiarazione autonoma: in tal caso, in mancanza
di testamento, avrà luogo la devoluzione ex lege.
Decidere qual'è la legge applicabile
è determinante, ovviamente, per stabilire il luogo ed il tempo di
apertura della successione, di quanti beni il testatore poteva disporre
per testamento, come si dividono i debiti ereditari, l'ammissibilità
o meno dei patti successori, l'ordine dei successibili ex lege.
Il problema più delicato che si
pone di fronte alla "professio iuris" di un cittadino italiano è
dato dalla tutela dei legittimari.
L'articolo 46 II comma si limita a tutelare
i diritti dei legittimari residenti in Italia al momento della morte del
testatore e non si preoccupa di tutelare tutti i soggetti anche di fronte
a leggi straniere che non prevedano diritti per i legittimari. Le disposizioni
lesive, quindi, non cadono ai sensi dell'articolo 16, che stabilisce che
la legge straniera non si applica quando i suoi effetti sono contrari all'ordine
pubblico, perchè il legislatore ha aderito a quel filone di pensiero,
affermato nella giurisprudenza di merito e di Cassazione, che ritiene che
le norme sulla riserva non siano norme di ordine pubblico.
L'articolo 46, 3° comma, si occupa
della divisione ereditaria: questa è regolata dalla lex successionis,
ma i condividendi si possono accordare per designare un'altra legge, che
potrà, però, solo essere o la legge del luogo in cui si è
aperta la successione, o la legge del luogo in cui si trova almeno un bene
ereditario.
L'articolo 47 accoglie anche per quanto
riguarda la capacità di testare il principio della cittadinanza:
la capacità è regolata dalla legge nazionale del disponente
al momento di redazione del testamento, o al momento della sua revoca o
modifica. Il testamento sarà quindi valido anche se la capacità
di testare è venuta meno dopo la redazione del testamento e se cambiando
la cittadinanza dopo tale momento la nuova legge non riconosce più
la capacità.
Una norma estremamente liberale regola
la forma del testamento. Secondo l'articolo 48, il testamento è
valido se è considerato tale:
- dalla legge dello Stato nel quale è
stato redatto, o
- dalla legge dello Stato di cui il testatore
era cittadino al momento del testamento o della morte, o infine
- dalla legge dello Stato in cui il testatore
era residente o domiciliato.
Si può a questo punto fare un breve
parallelismo con quanto disposto dalla convenzione di Roma in materia di
contratti o dalla legge 218/95 in materia di rappresentanza.
Per i colleghi francesi è forse
inconcepibile il nostro atteggiamento di fronte alle procure straniere:
il Notaio italiano, in forza dell'articolo 60 2° comma della legge
218, considera valida ed accettabile in quanto alla forma la procura che
sia considerata tale dalla legge che ne regola la sostanza o dalla legge
dello Stato in cui è stata posta in essere. Quindi, per fare un
esempio, la procura per donare stipulata per scrittura privata in uno Stato
che ammetta tale forma (come la Svizzera) potrà essere utilizzata
dal Notaio italiano, anche se per la nostra legge nazionale sarebbe necessario
l'atto pubblico.
La disciplina dell'articolo 48 sulla forma
del testamento si inserisce quindi in una più generale tendenza
alla liberalizzazione della forma al fine di facilitare il compimento di
atti giuridici all'estero.
La legge 218 risolve un altro problema
di diritto internazionale privato che si era posto negli anni passati e
cioè la qualificazione giuridica del diritto dello Stato: se lo
Stato acquistasse in base ad una vera e propria devoluzione successoria
o invece nell'esercizio di una potestà pubblicistica.
Per fare un esempio: con il sistema previgente,
nel caso di morte di un cittadino britannico che lasciasse beni mobili
in Italia, non acquistava nè lo stato britannico in quanto i beni
non si trovavano nel suo territorio, nè lo stato italiano in quanto
il de cuius non era di nazionalità italiana. L'articolo 49 stabilisce
che quando la legge applicabile alla successione, in mancanza di successibili,
non attribuisce la successione allo Stato, i beni posti in Italia si devolvono
allo Stato Italiano.
Come si è visto la nuova legge
pone al Notaio italiano che si veda richiesto di redarre un testamento
o di svolgere pratiche successorie relative a beni posti in Italia, o a
stipulare una divisione o la rivendita di un bene ereditario notevoli problemi
pratici.
La professio iuris, facendo riferimento
al concetto di residenza, ci pone ad esempio il problema, non sempre di
facile soluzione, di accertare la residenza in uno Stato straniero.
Gli istituti del rinvio e la possibilità
della professio iuris ci obbligano a studiare e ad applicare molteplici
ordinamenti stranieri, che talvolta rispondono ad una cultura e una tradizione
giuridica profondamente diversa dalla nostra, o di paesi dilaniati da guerre
interne e secessioni che impediscono di stabilire esattamente le norme
applicabili, con un evidente sforzo per i Notai, ritenuto però necessario
per iniziare il cammino verso la libera circolazione giuridica internazionale,
ormai indispensabile.
La Convenzione dell'Aja del 1° agosto
1989, che si muove in quest'ottica, ha tenuto conto di questi problemi
con un'elencazione a cascata di criteri di collegamento, comunque rispondenti
al principio dell'unità delle successioni, che senz'altro ha il
pregio della flessibilità.
La devoluzione post mortem del patrimonio
familiare è però sempre meno affidata al testamento, che
si è rivelato spesso uno strumento insufficiente per rispondere
alle diverse esigenze di più complessi assetti di interessi. Il
testamento deve essere superato tutte le volte che ci si riferisca a beni
la cui natura esige un particolare trasferimento diversificato e tutte
le volte che il regolamento di interessi non possa essere affidato alla
volontà unilaterale di un soggetto, ma debba coinvolgere il consenso
di più persone.
Pertanto il sistema successorio è
ormai di fatto integrato dal contratto, come strumento di devoluzione con
diverse finalità e in una riflessione circa la trasmissione del
patrimonio internazionale non si può prescindere dal parlare dei
patti successori, che nella maggior parte dei Paesi a noi vicini sono un
valido strumento di devoluzione ereditaria. I contratti sono conosciuti
da molti ordinamenti europei e si può dire che siano il modo normale
di trasmissione nei Paesi di common law; persino Stati che, come la Francia
contemplano il divieto dei patti successori hanno poi validi contratti
mortis causa (in diritto tedesco, BGB par. 274 e seg., l'ERBVERTRAG; codice
civile generale austriaco art. 602 e legge sulle fondazioni private; codice
civile svizzero art. 494).
In Italia la prassi contrattuale ha elaborato
numerose figure negoziali tese a proiettare la propria efficacia dopo la
morte di una o più parti, ma il testamento, la sostituzione fidecommissaria
ed i contratti alternativi al testamento nel nostro ordinamento devono
convivere con il divieto ex articolo 458 C.C., che delimita di fatto l'ambito
di validità degli strumenti alternativi, divieto che è venuto
però via via sbiadendo per opera delle più recenti interpretazioni
della dottrina e della giurisprudenza.
All'interno della categoria degli atti
post mortem vi sono alcuni negozi che più di altri si prestano a
fungere da alternative convenzionali al testamento e che hanno dato vita,
come si è detto, ad un orientamento giurisprudenziale teso a disapplicare
il divieto dei patti successori.
Uno strumento contrattuale si presenta
come valida alternativa al testamento quando determina l'immediato trasferimento
del bene, pur subordinandone la definitività alla morte e, contemporaneamente,
permette di anticiparne alcuni effetti, senza però pregiudicare
per il disponente la possibilità di bloccarne l'effetto finale.
Queste esigenze sono particolarmente sentite quando si tratti di successioni
relative ad un'attività d'impresa, in cui si evidenzia la necessità
di diversificare la devoluzione rispetto agli altri beni ereditari.
Il primo problema che l'interprete si
deve porre dinnanzi ad un contratto con effetti post mortem è
di verificare se si tratti o meno di un negozio mortis causa, perchè
solo di fronte ad una risposta positiva si pone il problema del divieto
del patto successorio istitutivo.
Non è questa la sede per dissertare
sulla definizione di atto mortis causa, che è peraltro essenziale
per inquadrare come patti istitutivi alcune fattispecie negoziali.
Solo in pillole e con il rischio che la
troppa superficialità sia fonte di errori, possiamo dire che alcuni
autori definiscono come mortis causa l'atto che, in quanto diretto a regolare
i rapporti giuridici di un soggetto per il tempo della sua morte, nessun
effetto produce prima di tale evento; altri come l'atto che ha per funzione
sua propria di regolare rapporti e situazioni che vengono a formarsi in
via originaria con la morte del soggetto.
Altra cosa evidentemente è l'atto
inter vivos con effetti post mortem, che produce già un certo tipo
di aspettativa dal momento della stipulazione.
Mi limiterò qui ad elencare alcuni
casi esaminati dalla giurisprudenza e dalla dottrina e risolti in senso
positivo:
1) Donazione connessa con la morte del
donante: la dottrina tradizionale tende ad affermare l'inammissibilità
della donatio mortis causa non tanto per la contrarietà al
divieto dei patti successori, quanto per il contrasto con il principio
dell'irrevocabilità, che le deriva proprio dalla sua natura di contratto.
Secondo parte della dottrina (Giampiccolo)
l'irrevocabilità non è però elemento inderogabile
e nulla vieta ai contraenti di pattuire espressamente la possibilità
di sciogliere il vincolo negoziale: si conclude pertanto per l'ammissibilità
di una donazione revocabile con effetti differiti al momento della morte
del donante, in cui l'evento condizionante è costituito dalla morte
del donante. Cosa succederebbe però se tale donazione avesse come
oggetto il quod superest? Bisognerebbe decidere qual'è la
ratio del divieto dei patti successori: se tale ratio è la libertà
testamentaria, non ci sarebbero problemi stante la revocabilità;
se la ratio fosse invece la centralità della volontà del
disponente, vi sarebbe contrarietà alle regole del testamento volte
a conferire massimo risalto alla volontà del disponente;
2) Donazione sotto modalità di
morte: si ritiene ammessa in quanto negozio inter vivos e non mortis causa.
Anche se l'effetto finale è differito alla morte del donante, gli
effetti preliminari si producono subito, sia nel caso di termine che di
condizione: infatti sorge subito in capo al donatario un diritto soggettivo
che possiamo definire di "aspettativa" che gli attribuisce la facoltà
di compiere atti conservativi e di disporre dei beni donati, ovviamente
con le stesse modalità (termine o condizione) cui è sottoposta
la donazione, mentre il donante perde la possibilità di disporre
dei beni donati.
3) Donazione di usufrutto con effetto
dalla morte del donante: valgono le considerazioni appena fatte in quanto
negozio inter vivos.
4) Contratto a favore di terzo con prestazione
da eseguirsi dopo la morte del donante: ammessa ex articolo 1412, il quale
stabilisce che se la prestazione dev'essere fatta al terzo dopo la morte
dello stipulante, questi può revocare il beneficio anche con una
disposizione testamentaria e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne
profittare, salvo che, in quest'ultimo caso, lo stipulante abbia rinunciato
per iscritto al potere di revoca.
La migliore dottrina ha riconosciuto a
tale contratto la natura di atto inter vivos, in quanto il diritto alla
prestazione sorge immediatamente per effetto della stipulazione e solo
l'attribuzione è differita al momento della morte.
5) Contratto a favore di terzo da nominarsi
a mezzo di testamento: in questo caso il contratto si trasforma in una
vera e propria attribuzione mortis causa e va a scontrarsi con il divieto
dell'articolo 458, in quanto limitativo della libertà di disporre
del testatore.
6) Assicurazione sulla vita a favore di
un terzo: ammessa ex art. 1920 C.C., norma peraltro eccezionale e quindi
non suscettibile di estensione.
7) Deposito a favore di terzo: viene costituito
un deposito in cui il diritto alla restituzione è attribuito dal
depositante ad un terzo, ma con la possibilità di ottenere la restituzione
solo dopo la morte del depositante, il quale sino a tale momento conserva
la facoltà di disporre dei beni oggetto del deposito.
Il caso è stato protagonista di
una famosa pronuncia giurisprudenziale degli anni 50, che ha suscitato
molte discussioni in dottrina.
Secondo alcuni autori andrebbe contro
il divieto dei patti successori in quanto vera e propria attribuzione mortis
causa de residuo. Secondo altri, sarebbe ammissibile in quanto non limiterebbe
in alcun modo il potere di disporre del disponente, che è ciò
di cui si preoccupa l'articolo 458 c.c.
8) Donazione con onere a favore di un
terzo determinato da compiersi dopo la morte del donante: si è ravvisato
il rischio di un patto successorio istitutivo. La questione è stata
risolta con un giudizio di ammissibilità da coloro che vi hanno
ravvisato un contratto a favore di terzo. Sono invece contrari coloro che
la ricostruiscono come donazione modale, specialmente se l'oggetto dell'attribuzione
a favore del terzo non coincide con l'oggetto della donazione.
9) Mandato post mortem contrattuale: per
la prevalente dottrina e giurisprudenza non è invalido in ogni caso,
ma bisogna analizzare la natura dell'attività che il mandatario
è chiamato a compiere. Se il mandatario deve compiere un'attività
che comporta un'attribuzione patrimoniale a favore di un terzo, si avrà
un mandato post mortem nullo ex art. 458 C.C.; se il mandatario dovrà
invece compiere attività materiali o meramente esecutive di una
attribuzione patrimoniale già effettuata dal mandante in vita, si
avrà un mandato inter vivos post mortem exequendum, valido.
Qualche dubbio sussiste in particolare
quando il mandato sia oneroso e ne sia pattuita l'irrevocabilità.
10) Clausole societarie: non mi dilungherò
ma ricordiamo solo la distinzione tra clausole di continuazione facoltativa,
clausole di continuazione obbligatoria, clausole di successione e clausole
di concentrazione. Le prime non costituiscono patti successori in quanto
hanno natura di atti inter vivos. Solo le ultime, con cui si conviene che
i soci superstiti acquistino la quota del socio defunto senza dover corrispondere
agli eredi il valore, sono considerate contrastanti con il divieto dei
patti successori, in quanto viene attribuito inter vivos ai soci superstiti
un diritto successorio.
11) Vendita di cosa altrui: secondo una
parte della dottrina si considera nulla solo quando entrambi i contraenti
sono addivenuti alla stipulazione della vendita di cosa altrui in considerazione
del suo oggetto come cespite di una futura eredità; secondo altri,
divieto dei patti successori e vendita di cosa altrui, operando su piani
diversi e non intersecandosi, non potrebbero mai dar luogo al alcun contrasto
tale da invalidare la fattispecie negoziale posta in essere. La giurisprudenza
ha dato risposte diverse, dovute però per lo più alla diversità
delle fattispecie in concreto sottopostele, ma non pregiudizialmente negative.
Il divieto dei patti successori, quindi,
come abbiamo visto, viene applicato in Italia con una elasticità
maggiore di quanto appaia dalla norma. Ciò porta a considerare questi
contratti come compatibili con il cosiddetto ordine pubblico internazionale,
con la conseguenza della possibilità di far valere in Italia tali
pattuizioni stipulate ai sensi di leggi straniere.
Di fronte all'interrogativo se i patti
successori violino o meno l'ordine pubblico internazionale, ci si pone
innanzi tutto un problema di tipo politico.
L'Unione Europea con la Raccomandazione
del 7 Dicembre 1994 sulla successione delle piccole e medie imprese ha
preso posizione sulla ammissibilità dei patti successori. La comunicazione
emanata dalla Commissione caldeggia la cessione tra coniugi ed auspica
l'attenuazione del divieto di patti sulla futura successione e dell'istituto
della riserva.
E' difficile inoltre poter sostenere che
le regole sui contratti successori degli altri Stati della Comunità
possano essere contrari ai fondamenti della nostra civile convivenza.
Si può solo concludere perciò
che il divieto ex articolo 458 non esprime un principio di ordine pubblico
internazionale.
Alla luce di quanto sopra possiamo risolvere
due casi pratici di patti successori stranieri da valere in Italia.
Il primo caso riguarda un contratto di
vita comune stipulato in Olanda tra un soggetto che aveva doppia cittadinanza
italiana ed olandese ed una cittadina olandese. In questo contratto i conviventi
stabilivano che, in caso di morte di uno dei due, tutti i beni comuni (ad
eccezione di quelli pervenuti per successione o donazione) sarebbero andati
al superstite e che, se alla morte il vincolo di convivenza non fosse ancora
venuto meno, il cittadino italiano attribuiva alla convivente tutti i beni
o tutti quelli che la stessa avesse scelto.
Nella stessa data del contratto di vita
comune il de cuius aveva fatto un testamento con il quale sceglieva come
legge regolatrice della sua successione la legge olandese.
Il problema si è posto perchè
il cittadino italiano aveva un immobile situato in Italia.
Secondo il diritto olandese che ammette
il contratto di vita comune, i beni si trasferiscono immediatamente al
convivente superstite, che assume l'onere dei debiti che gravano sui beni.
Tale convenzione si chiama "clausola di sopravvivenza" e può prevedere
o meno che metà dei beni vadano agli eredi.
Applicando al caso pratico tutte le cose
dette in precedenza, dobbiamo concludere nel senso che il patto olandese
sia pienamente legittimo. Tale patto ha sicuramente natura successoria
e quindi dovrebbe ritenersi invalido se sottoposto alla legge italiana
e valido se sottoposto alla legge olandese. Ma il disponente ha compiuto
una valida professio iuris ai sensi dell'articolo 46 della nuova legge
di diritto privato internazionale, sottoponendo l'intera sua successione
alla legge olandese, e pertanto il contratto in oggetto ricade pure sotto
questa legge e deve considerarsi quindi pienamente valido.
Analoghe considerazioni debbono farsi
rispetto alla "donation entre epoux de biens a venir" prevista dall'articolo
1094 del Codice Civile francese. Tale donazione ha sicuramente natura di
negozio mortis causa e ricade sotto la nullità dell'articolo 458
del Codice Civile italiano, ma della sua validità non si può
dubitare se il cittadino italiano residente in Francia ha scelto come legge
regolatrice della sua successione la legge francese: unico requisito è
che la professio iuris sia stata fatta in modo espresso.
Questo modo di ragionare deve guidare
il Notaio italiano che si trovi di fronte ad un acquisto in forza di un
qualsiasi contratto volto a regolare una futura successione, stipulato
secondo una legge straniera.
Infine, è dovuto un breve cenno
su quella particolare fattispecie di trasferimento a fine successorio che
è costituita dal trust.
L'adesione dell'Italia alla convenzione
dell'Aja del 1° luglio 1985 ha introdotto il trust, muovendo un ulteriore
passo verso il contratto successorio. Con la legge 364/89 in Italia si
sono riconosciuti i trusts ovunque istituiti e a qualunque legge straniera
sottoposti. L'Italia non ha fatto propria alcuna nozione di trust, ma ha
aderito a quella di trust amorfo. Requisiti essenziali sono che i beni
del trust siano separati del patrimonio del trustee, che il trustee abbia
la capacità di agire in giudizio ed essere citato, o di comparire
in qualità di trustee davanti al Notaio o alla pubblica autorità.
Ne consegue che i creditori personali del trustee non possono aggredire
i beni del trust, che gli stessi restano separati dai beni del trustee
in caso di sua insolvenza e non fanno parte del regime matrimoniale o della
successione del trustee, che si può rivendicare il trust nel caso
in cui il trustee abbia confuso i beni.
Il trust evidentemente è uno strumento
ottimale per la pianificazione della trasmissione tra familiari e l'individuazione
dei beneficiari, ma il Notaio si deve porre il problema dei limiti in cui
tale istituto sia applicabile in materia successoria, quando il disponente
abbia scelto di costituire un trust secondo la legge di un Paese straniero.
E' da tener presente che anche la Convenzione
dell'Aja sul trust, all'art.15, ha fatto espressamente salve le norme sulle
successioni.
La prima questione che ci poniamo è
quella della compatibilità con l'articolo 458 c.c., cioè
con il divieto dei patti successori.
La dottrina ha concluso per l'ammissibilità
del trust, le cui caratteristiche strutturali ne escludono la natura di
negozio mortis causa e lo sottraggono pertanto all'ambito di applicazione
dell'articolo 458.
Le caratteristiche che escludono il divieto
dei patti successori in particolare sono:
a) normale struttura di negozio unilaterale
e non di "patto";
b) uscita dei beni dal patrimonio del
disponente immediata e non successiva alla morte;
c) attribuzione immediata di un'aspettativa
ai beneficiari.
Altra questione è la compatibilità
del trust con il divieto della sostituzione fidecommissaria, applicato
con più severità dalla giurisprudenza. Le considerazioni
appena fatte circa la struttura e la natura di negozio inter vivos del
trust sono sufficienti ad escluderne l'applicabilità.
Ciò da cui invece il trust non
può prescindere è la tutela dei legittimari. E' vero che
il trust che vìoli i diritti dei legittimari non è nullo
ma impugnabile con l'azione di riduzione, ma ciò ne fa venir meno
almeno in parte l'utilità come strumento di pianificazione familiare,
e quindi un trust costituito secondo la legge britannica che non conosce
la riserva, seppur valido offre il fianco all'azione di riduzione e rischia
di vedersi ridistribuire i beni oggetto della pianificazione.
Per finire, solo un brevissimo cenno all'aspetto
fiscale.
Se al momento dell'apertura della successione
il dante causa risiedeva in Italia, concorrono a formare la base
imponibile sia i beni situati in Italia sia quelli esistenti all'estero,
ma se lo Stato estero dove sono situati gli immobili provvede già
a tassarli secondo le proprie leggi, gli eredi e i legatari possono detrarre
dall'importo dell'imposta liquidata in Italia quanto pagato allo stato
estero.
Nel caso di de cuius residente all'estero,
l'imposta viene invece liquidata solo sui beni situati in Italia.
Si presumono esistenti in Italia i beni
ed i diritti iscritti nei pubblici registri italiani, le azioni delle società
costituite in Italia, le quote di partecipazione in enti diversi dalle
società che hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la
sede dell'amministrazione o l'oggetto principale, le cambiali e gli assegni
di ogni specie emessi dal debitore, se quest'ultimo o il trattario o l'emittente
è residente nello Stato italiano, i crediti garantiti su beni esistenti
nello Stato fino a concorrenza del valore dei beni medesimi.
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